Fare per mostrare: le esperienze sono un nuovo bene di consumo

Il nostro modo di godere della vita è radicalmente cambiato negli ultimi decenni.
Fino a poco tempo fa viaggiare significava perdersi nel qui ed ora, e una cena con gli amici era un’occasione intima di serenità, da custodire quasi segretamente.
Oggi qualcosa si è rotto, e lo sappiamo.
Non tanto perché abbiamo smesso di viaggiare o di stare insieme, ma perché spesso non siamo più davvero quando ciò avviene. L’esperienza non è più fine a se stessa, ma un mezzo: per mostrarla, raccontarla e mettere una spunta nelle esperienze piacevoli da aver vissuto almeno una volta.

Consumismo esperienziale

Abbiamo trasformato il piacere in prestazione: il viaggio deve essere unico, instagrammabile, meglio se mai visto.
Un’esperienza consueta non basta più. Anche il tempo libero diventa competitivo, oggetto di valutazione. La compagnia degli amici si riduce a una foto, una cena è un’occasione per far vedere cosa mangiamo, dove siamo, con chi.

Perciò, viviamo tutto come se ci fosse un pubblico invisibile da stupire.
Ma chi è davvero quel pubblico? Gli altri? O noi stessi, in una versione idealizzata che vogliamo costruire, convincendoci che stiamo vivendo “bene”?

Il risultato è che fatichiamo a stare nel momento. Durante un’esperienza bella, anziché lasciarci attraversare, già pensiamo alla prossima. Alla foto da scattare, a come raccontarla. La testa corre avanti, e noi smettiamo di esserci.

La corsa all’esperienza migliore

Secondo la stessa logica, anche il piacere del viaggio si è trasformato in un’esibizione e in un’ansia continue. Si viaggia come forsennati, stipati nei fine settimana, incastrando ore e minuti come pezzi di un puzzle che deve combaciare alla perfezione.
Ogni dettaglio deve essere ottimizzato, ogni momento pieno, ogni tappa documentata.
Non appena abbiamo “divorato” una meta famosa, pensiamo già alla prossima avventura di cui ingozzarci. Anzi, spesso la stiamo cercando con la bocca ancora piena, incapaci di digerire ciò che abbiamo appena vissuto.
Il viaggio, da nutrimento dell’anima, è diventato un buffet da cui usciamo strapieni, ma non nutriti.

Cosa succede dentro di noi?

Il consumismo esperienziale nasce dalla stessa logica che alimenta quello materiale: accumulare per sentirsi di più. Solo che invece degli oggetti, collezioniamo momenti, viaggi, emozioni, da consumare in fretta e mostrare agli altri.
In un mondo dove l’identità si costruisce anche online, vivere esperienze straordinarie diventa una forma di status. Ma questa ricerca costante di “più bello”, “più nuovo”, “più intenso” crea assuefazione: ci abituiamo rapidamente al piacere e ne vogliamo subito un altro. L’esperienza perde la sua ricchezza e diventa una prestazione. Non c’è più spazio per la noia, per la semplicità, per l’imperfezione.
Così, invece di arricchirci, ci svuota.

Qualche consiglio per tornare a esserci

  • Prova a non fotografare tutto. Lascia che almeno un momento resti solo tuo.
  • Quando vivi qualcosa di bello, fermati: respira, ascolta, guarda. Rallenta. Domandati “Cosa sto provando ora?”, non “Come lo racconterò?”.
  • Non rincorrere mete, torna nei posti che ami.

Le esperienze non si accumulano: si attraversano.
E quelle che lasci entrare davvero, restano.

Fonti

Pine, B. J., & Gilmore, J. H. (2011). The experience economy: Updated edition. Harvard Business Review Press.

Tanhan, F., Özok, H. I., & Tayiz, V. (2022). Fear of missing out (FoMO): A current review. Psikiyatride Güncel Yaklaşımlar / Current Approaches in Psychiatry, 14(1), 20–34. Retrieved from https://www.cappsy.org

Van Boven, L., & Gilovich, T. (2003). To do or to have? That is the question. Journal of Personality and Social Psychology, 85(6), 1193–1202. https://doi.org/10.1037/0022-3514.85.6.1193

Scritto da Emma Ciciulla
Psicologa in formazione
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