Domande Frequenti

La durata della psicoterapia non è fissa perché può variare in base a tantissimi fattori, di seguito ne presentiamo alcuni:

  • La natura del problema che il paziente porta in consultazione è uno dei principali fattori determinanti Alcune questioni possono richiedere solo una breve serie di incontri per essere risolte, mentre altre possono portare a un impegno a lungo termine.
  • L’eventuale presenza di sintomi e loro la gravità costituiscono un altro fattore importante da considerare.
  • L’orientamento teorico del terapeuta spesso influenza la durata del trattamento. Alcuni approcci terapeutici, come la terapia cognitivo-comportamentale, tendono ad essere più focalizzati su un problema specifico e a lavorare su obiettivi concreti, per questo spesso vi è una durata prestabilita di un certo numero di sessioni. Altri approcci, come le terapie psicodinamiche, possono richiedere un impegno a lungo termine per esplorare in profondità le dinamiche psicologiche e affettive ed esplorare le vicissitudini emotive del paziente.
  • La motivazione al lavoro terapeutico del paziente è un aspetto che rende il percorso più fluido e più produttivo.
  • Il desiderio soggettivo del paziente di proseguire con la terapia è, infine, un altro aspetto da considerare.

È bene avere in mente che la durata della psicoterapia è flessibile e può essere adattata alle esigenze e ai progressi del paziente. Il terapeuta e il paziente valutano insieme i progressi e decidono se e quando è appropriato concludere un percorso o cambiarne le modalità, per esempio riducendo la frequenza degli incontri. Se hai dubbi rispetto alla durata del tuo percorso, ti consigliamo di rivolgerti al tuo psicoterapeuta: concordando obiettivi di lavoro e approccio, sarà più semplice avere un’indicazione di massima rispetto al percorso che intraprenderai.

Scegliere lo psicoterapeuta "giusto" può voler dire molte cose, perché un terapeuta può avere caratteristiche più o meno adatte o gradite secondo il parere del paziente con cui lavora. Sicuramente è bene che tu lo senta soggettivamente giusto. Per aiutarti, puoi provare a usare questi consigli:

- Affidati ad un percorso di valutazione preliminare, come quello che proponiamo noi, in modo che una persona del settore possa "abbinare" la tua difficoltà alla persona più adatta per accoglierla. Se desideri più informazioni su questo aspetto, puoi cliccare qui.

- Definisci la tua richiesta, riflettendo su cosa ti porta a intraprendere un percorso e cerca di trasmetterlo il più onestamente possibile al tuo terapeuta, questo vi aiuterà già moltissimo a lavorare come una squadra.

- Se desideri, informati sulle modalità di trattamento. Ricordati, però, che comprendere tramite una breve ricerca il focus degli orientamenti terapeutici non è possibile e potrai ricavarne solo un'idea generale. Questo è un altro motivo per cui è consigliabile affidarsi ad un professionista per la scelta del tipo di trattamento.

- Valuta la chimica tra di voi e non sottovalutarla: ti piace a pelle il terapeuta? Ti senti abbastanza a tuo agio a confidarti con lui? Scegli qualcuno che ti trasmetta fiducia e rispetto ma, soprattutto, se qualcosa non va nella terapia riferiscilo senza farti scrupolo, perché siamo preparati ad accogliere anche questo.

- Puoi considerare la logistica: valuta la praticità della posizione dello studio o la possibilità di condurre una terapia online, informati sugli orari disponibili e sulle tariffe.

- Non avere paura di cambiare, se dopo qualche settimana ritieni che la relazione con il terapeuta non funzioni, prova a parlarne direttamente ed eventualmente non sentirti in colpa se vuoi cambiare figura di sostegno. Noi siamo qui per poterti supportare anche in questo.

- Ricordati che iniziare con incertezza è sempre meglio di non iniziare. È normale avere incertezze e paure all'inizio di un percorso terapeutico, soprattutto se è il primo: l’ignoto spaventa, l'importante è fare il primo passo.

Non sentirai mai, o quasi mai, il tuo terapeuta parlare della propria vita perché questo sarebbe in contrasto con una delle caratteristiche della relazione con il paziente: l’asimmetria. Un aspetto unico del rapporto che si instaura tra un paziente e uno psicoterapeuta è proprio il fatto che quest’ultimo accetti di creare uno spazio per tutti i bisogni del paziente, senza però portare mai i propri, in quanto farlo significherebbe inevitabilmente ingombrare la relazione di necessità e richieste che non sono esclusivamente quelle di chi richiede l’aiuto professionale, limitandone la libertà di espressione. Anche per questo motivo non è vero che un amico possa sostituire lo psicoterapeuta, e non solo per le differenti competenze professionali, ma soprattutto perché nelle relazioni della tua vita privata ti è richiesta reciprocità, in psicoterapia il solo protagonista sei tu.

Se inizi un percorso terapeutico ti verrà richiesto solo di impegnarti a migliorare te stesso, e mai di contribuire alla vita dell’altro. Qualora il tuo terapeuta dovesse rivelare qualcosa di sé quindi, la finalità di quella confidenza sarebbe di aiutarti nel percorso e di accorciare le distanze tra voi due.

Inizialmente la psicoterapia può risultare faticosa, per alcuni.

Questo accade perché si dedica tempo e spazio alle proprie difficoltà in modo inedito rispetto a prima e può capitare che si trattino argomenti che causano sofferenza. Allo stesso tempo, è vero anche l’opposto: molte persone riportano di sentirsi già meglio dopo poche sedute, perché iniziare a occuparsi attivamente del proprio benessere ha già di per sé un effetto terapeutico, attenuando i sintomi.

Ricorda che uno degli obiettivi comuni delle psicoterapie è il cambiamento verso lo stare meglio, e nonostante cambiare a volte ci stia un po’ scomodo, il miglioramento che si sperimenta nel tempo è duraturo e ripaga completamente gli sforzi iniziali.

La scelta di usare il “tu” o il “lei” tra paziente e terapeuta può dipendere da diversi fattori.

Se il paziente è minorenne molti professionisti preferiscono usare il “tu” per non creare un’atmosfera di eccessiva formalità con i più giovani. Quando, però, si tratta di utenza adulta, la scelta è più legata al significato: chi preferisce usare il “lei” ritiene che il “tu” rimandi eccessivamente ad una dimensione amicale che non va confusa con il lavoro clinico e che non è di utilità al paziente; altri terapeuti sono invece a disagio a mantenere questa formalità linguistica e scelgono di dare del “tu”.

È comunque bene che, qualunque sia la scelta fatta, si riesca a instaurare una relazione di aiuto compassionevole e intima, ma comunque dotata di una giusta distanza.

Se non sei a tuo agio rispetto a una di queste forme, parlane sempre con il tuo terapeuta: gli fornirai uno spunto senz’altro utile.

Il segreto professionale è un principio etico fondamentale per psicologi e psicoterapeuti, essenziale per garantire uno spazio privo di giudizio e dove ci si senta liberi di esplorare qualsiasi tematica. Esso prevede che lo psicologo mantenga riservate tutte le informazioni divulgate dal paziente durante le sedute.

All'inizio della terapia, lo psicologo solitamente informa il paziente che tutto ciò che viene detto durante le sessioni rimarrà confidenziale, a meno che ci siano eccezioni specifiche. Queste eccezioni riguardano poche casistiche: situazioni in cui c'è un rischio imminente di danni a se stessi o agli altri, sospetti di abuso su minori o persone vulnerabili o in risposta a una richiesta legale, come un mandato di comparizione in tribunale. Nonostante queste clausole, lo psicologo è comunque tenuto a divulgare eventualmente solo le informazioni strettamente necessarie, perciò tende a prevalere la regola della riservatezza: questo vale anche nel caso in cui il paziente acconsenta alla diffusione delle informazioni.

Se hai dei dubbi su questo, parlane con il tuo terapeuta o consulta il sito del CNOP (Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi).

chevron-down-circle