Blocchi emotivi: riconoscerli, comprenderli, trasformarli

A volte le emozioni non scorrono, ed esprimerle non è sempre semplice.

Restano ferme, come se qualcosa dentro di noi “chiudesse il rubinetto”.

Succede quando vorremmo piangere e non ci riusciamo, quando tratteniamo una rabbia che ci brucia o quando ci viene difficile anche solo dire “sono felice”, perché ci imbarazza.

Non sempre i blocchi emotivi arrivano da grandi dolori. Spesso nascono da piccole lezioni apprese nel tempo: “non bisogna arrabbiarsi”, “non farti vedere troppo sensibile”, “non essere troppo entusiasta”.

Così impariamo a controllare e contenere — finché diventa automatico.

Il primo passo non è “sbloccarsi”, ma riconoscere cosa sta succedendo.

Ogni blocco ha un messaggio da portare: forse ci sta proteggendo da qualcosa, forse ricorda un’esperienza passata in cui esprimersi non era sicuro o accolto.

Ascoltarlo è già un modo per iniziare la regolazione delle emozioni.

Mostrarsi per davvero: perché è così difficile?

Anche in contesti considerati sicuri può essere complicato lasciare emergere ciò che si prova. Cosa succede dentro di noi, in quei momenti?

Dietro un blocco emotivo spesso si nasconde la paura di essere fraintesi: il timore che ciò che proviamo venga sminuito, giudicato o semplicemente non accolto come avremmo bisogno. C’è anche la vergogna della vulnerabilità, quella sensazione di essere “troppo” quando ci commuoviamo, piangiamo o ci entusiasmiamo. Molti di noi hanno interiorizzato, fin da piccoli, l’idea che mostrare emozioni sia inopportuno - e così, anche quando ci troviamo in un contesto sicuro, le difese si attivano comunque. A volte è il timore di perdere il controllo a bloccarci: lasciar fluire un’emozione può sembrare come aprire una diga, e la paura è di non riuscire più a richiuderla. Altre volte sono le nostre stesse aspettative a trattenerci - quei pensieri rigidi come “dovrei essere più forte” o “non è il momento giusto” - che ci spingono a zittire ciò che, dentro, invece vorrebbe solo uscire.

Aprirsi, in fondo, significa mostrare chi si è senza filtri. Fare questo richiede fiducia: negli altri, ma anche in noi stessi. Quando raccontiamo come stiamo davvero, ci mettiamo in una posizione di esposizione - e se in passato questa esposizione è stata seguita da delusione, incomprensione o giudizio, il corpo se lo ricorda. Così ogni volta che proviamo a condividere qualcosa di vero, una parte di noi preme “pausa” per proteggerci da un possibile dolore.

Non più una barriera che separa, ma una porta che può aprirsi

Superare un blocco emotivo non significa sforzarsi a parlare o a “buttare tutto fuori”, ma imparare a creare le condizioni giuste perché qualcosa dentro di noi si senta al sicuro nel farlo. A volte basta poco: scrivere quello che non riusciamo a dire, concederci il tempo di capire cosa stiamo provando, o semplicemente restare in ascolto di ciò che accade nel corpo quando un’emozione si affaccia.

Ogni volta che scegliamo di stare con ciò che sentiamo, invece di combatterlo o giudicarlo, facciamo un passo verso l’apertura. Non serve arrivare subito alla piena espressione: basta iniziare a dare voce, anche piano, a ciò che fino a quel momento era rimasto muto. È così che, poco a poco, il blocco smette di essere una barriera e diventa una porta.

E per iniziare a socchiuderla, puoi provare ad usare alcuni accorgimenti:

  • Condividi la fatica. Se senti un blocco, prova a condividere proprio quella sensazione. “Faccio fatica a parlarne” è già un modo di esprimersi;
  • Scegli il contesto giusto.A volte, aspettare il momento in cui ci si sente più centrati o meno esposti può fare la differenza: riduce il rischio di sentirsi sopraffatti e aumenta la sensazione di controllo;
  • Nominare l’emozione. Quando provi qualcosa di intenso ma confuso, prova semplicemente a metterci un nome: rabbia, paura, tristezza, nostalgia. Dare un nome rende concreto ciò che altrimenti resta nebuloso.

Forse non siamo così bloccati come crediamo: forse ci stiamo solo proteggendo nel modo migliore che abbiamo imparato. Il punto non è forzarsi ad aprirsi, ma capire se quel modo ci serve ancora. Perché a volte crescere non significa spingere le porte, ma riconoscere che siamo pronti a non chiuderle più.

BIBLIOGRAFIA

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Psicologa in formazione
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